
La plastica inquina l’ambiente, sia per l’utilizzo che se ne fa in ogni campo (determinante un volume abnorme di rifiuti), sia perché è biodegradabile solo in minima parte. Ciò significa che la quasi totalità dei rifiuti plastici rimane nell’ambiente per almeno 10-20 anni, per lo più sotto forma di piccole particelle “microplastiche”, particolarmente subdole in quanto facilmente ingeribili dai pesci che finiscono sulle nostre tavole.
C’è plastica e plastica: esiste una classificazione internazionale delle materie plastiche basata sul sistema americano SPI (Society of the Plastics Industry) che riporta in un triangolo (simbolo del riciclo) un numero che identifica la materia plastica, più precisamente denominata “polimero”. Detto questo, potrebbe essere particolarmente interessante approfondire lo studio di quelle plastiche che sono impiegate come contenitori alimentari. Questi ultimi devono, o dovrebbero, essere inerti, ovvero impedire la migrazione di sostanze dal contenitore nell’alimento.
Iniziamo proprio dalle bottiglie in plastica utilizzate come contenitori per l’acqua e per le bibite – considerando che l’80% degli italiani beve l’acqua nella bottiglia di plastica, tutti i giorni per tutta la vita, è evidente che indagare sulla sicurezza di questi contenitori è particolarmente importante. La plastica usata per le bottiglie è il cosiddetto PET (Poli-Etilen-Tereftalato), identificato dal numero 1 secondo la citata normativa americana.
Il PET contiene “ftalati”, plastificanti che servono a rendere la plastica più flessibile, generalmente ritenuti innocui. Purtroppo non è così: già da molti anni diverse ricerche internazionali hanno mostrato la pericolosità di queste plastiche, specialmente quando sottoposte a calore e luce solare. Per esempio uno studio tedesco dell’Università J. W. Goethe di Francoforte pubblicato nel 2009, oltre ad elencare numerosi studi precedenti che hanno rilevato ftalati ormono-mimici nell’acqua minerale imbottigliata in bottiglie di PET, afferma: “I nostri ritrovamenti forniscono la prima prova di un’ampia contaminazione dell’acqua minerale (imbottigliata in PET n.d.A) da xeno-estrogeni, tipicamente fra i 2-40 ng/l EEQ”. EEQ significa “estradiolo equivalente”, ovvero l’ormone sessuale prevalente nel sesso femminile. Il consumo d’acqua nella bottiglia di plastica, secondo questo studio, può esporre a interferenti endocrini, in quanto l’estradiolo migra dal contenitore in PET all’alimento (acqua o bevanda) in esso contenuto. Un altro studio americano dell’Università della Florida, datato 2014, ha correlato la temperatura a cui è sottoposto il contenitore in PET alla sua potenzialità di rilasciare sostanze pericolose per la salute, fra cui l’antimonio che causa avvelenamento.
C’è anche un approfondito studio italiano dello stesso anno: nel 2014 il prof. Silvano Monarca, docente del Dipartimento di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università di Perugia, ha condotto uno studio sulla migrazione di sostanze chimiche dalla bottiglia in PET all’acqua al suo interno. Ebbene la ricerca ha rilevato ben 29 sostanze chimiche, alcune delle quali espressamente cancerogene secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e altre genotossiche (cioè capaci danneggiare il DNA delle cellule), come ad esempio l’acetaldeide e la formaldeide. Lo stesso prof. Monarca ha osservato che la concentrazione di queste sostanze cresce di 9 volte passando da una bottiglia conservata a 20°C alla stessa conservata a 30°. Un ulteriore aumento di 4 volte del contenuto di inquinanti si ha se la stessa viene aperta dopo più di 3 mesi dall’imbottigliamento.
Consideriamo che le statistiche riportano in 5 mesi il tempo medio di conservazione del contenitore prima del consumo, e che la legge italiana prevede come “scadenza” per l’alimento acqua un tempo di ben 2 anni. Consideriamo inoltre che sono sempre più frequenti i sequestri da parte dei NAS di lotti di bottiglie mal conservate, in particolare perché esposte al sole e al calore. Possiamo quindi renderci conto che il consumo di acqua e di bevande nella bottiglia in PET non è solo un problema importantissimo di inquinamento ambientale, ma anche di inquinamento dell’acqua che l’80% degli italiani beve tutti i giorni per tutta la vita.
Anche per questo motivo le bottiglie in plastica andrebbero evitate, preferendo assolutamente il vetro che non cede sostanze al contenuto. Tuttavia la conservazione per molti mesi dell’acqua nella bottiglia, con esposizione al sole e al calore, è di per sé un problema di deterioramento della qualità dell’acqua che non andrebbe trascurato e che, da solo, dovrebbe portare seriamente ciascuno a valutare il passaggio all’acqua prelevata direttamente dal rubinetto di casa, argomento che abbiamo già trattato nei numeri precedenti, e sul quale torneremo.
Prima di concludere questa prima parte dell’argomento plastiche, una domanda sorge spontanea: quale contenitore sarebbe più adatto per portare con noi, durante la giornata, l’acqua da bere, senza correre il rischio di contaminarla? Sappiamo infatti che, a parte il vetro, inerte ma scomodo e fragile, esistono “borracce” realizzate con diversi materiali, plastiche comprese. Sarà l’argomento principale del prossimo articolo.
Buona primavera-estate in salute!
Scrittore: Paolo Salvioli.
